Con l’arrivo dell’estate, torna puntuale la narrazione mediatica che enfatizza le temperature record e la siccità nel Sud Italia, dipingendo uno scenario allarmante e spesso semplificato. Questa narrazione, pur basandosi su dati reali, tende a portare acqua al mulino delle grandi multinazionali della transizione green, senza però considerare o addirittura omettendo aspetti fondamentali per una comprensione completa del fenomeno.
Si ritiene comunemente che l’industrializzazione umana sia la causa principale dell’innalzamento delle temperature globali. Questa affermazione è vera solo in parte e non in modo esclusivo, come spesso viene presentato. È necessario valutare con obiettività quali aspetti dell’industrializzazione influenzino effettivamente il clima. Tornare all’età della pietra non è né possibile né auspicabile, così come ridurre drasticamente la popolazione mondiale, a meno che non si vogliano accettare scenari inquietanti che, purtroppo, sembrano trovare qualche inquietante riscontro in eventi recenti come la pandemia da Covid-19, le campagne vaccinali e i conflitti internazionali.
È naturale che con l’aumento della popolazione cresca anche il consumo di beni e, quindi, la produzione. Questa produzione inevitabilmente genera fattori che potrebbero influenzare il clima, ma non sono certamente determinanti. Eppure, nella narrazione dominante si trascura un elemento cruciale: l’aumento della mobilità e delle attività umane che producono calore direttamente. Le automobili, i loro condizionatori, i condizionatori domestici, la cementificazione massiccia e la distruzione del verde urbano e rurale generano calore che si somma all’effetto serra. La vita moderna, con le sue abitudini radicalmente cambiate rispetto al passato – pensiamo a scaldabagni, docce frequenti, vestizioni multiple al giorno – contribuisce a questo incremento termico locale e globale.
Passando alla questione della siccità, il tema si fa ancora più complesso e richiede un’analisi approfondita e multidimensionale. Recenti dati mostrano come nel Sud Italia la crisi idrica sia già grave, con invasi che in molte zone sono al di sotto del 30-40% della loro capacità, mentre al Nord e in altre parti d’Europa gli invasi sono spesso pieni o addirittura oltre il 100%. Questa disparità non può essere ignorata.
Prendiamo ad esempio la mia zona, un tempo prevalentemente agricola, con coltivazioni all’aperto e stagionali, oggi dominata da coltivazioni intensive in serra a ciclo continuo. Questo cambiamento è dovuto a una crescente domanda di prodotti agricoli e a un abbassamento dei redditi degli agricoltori, che li spinge a coltivare senza sosta per mantenere un reddito sufficiente o per cercare guadagni rapidi. Il risultato è un uso eccessivo di acqua per irrigazione, che incide pesantemente sulla disponibilità idrica locale. Questo aspetto, spesso trascurato, meriterebbe un’analisi molto più approfondita.
Un altro fattore determinante è il turismo, che nel Sud Italia ha conosciuto un’espansione esponenziale e fuori controllo negli ultimi decenni. Se un tempo il turismo era limitato a pochi visitatori e a un numero ridotto di posti letto, oggi ogni angolo è stato trasformato in una struttura ricettiva, con un aumento vertiginoso della popolazione stagionale. Le abitudini di consumo dell’acqua sono cambiate radicalmente: dal numero limitato di docce e consumi d’acqua di un tempo, si è passati a consumi moltiplicati per mille, con movide notturne, locali aperti fino a tardi, piscine e giardini irrigati. Questo enorme aumento della domanda idrica nel periodo estivo coincide con il momento più critico della siccità.
Naturalmente, non si può escludere un cambiamento climatico globale che contribuisce a temperature più elevate e a periodi di siccità più lunghi, ma questo fenomeno fa parte di un’evoluzione planetaria che va avanti da milioni di anni, indipendentemente dall’azione umana.
In conclusione, la narrazione dominante sulla crisi climatica e idrica al Sud Italia appare parziale e spesso funzionale a interessi economici specifici. Per affrontare efficacemente il problema è indispensabile una visione più ampia e obiettiva, che tenga conto non solo delle emissioni industriali, ma anche dei cambiamenti sociali, delle abitudini di consumo, della gestione delle risorse idriche e degli impatti del turismo di massa. Solo così potremo costruire strategie sostenibili e realistiche per il futuro del nostro territorio e del pianeta.
G.B.

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